È uscito l’almanacco 2020 pubblicato dall’associazione internazionale «Artos», un gruppo di artisti e studiosi operanti in vari settori e accomunati dal desiderio di porre domande e trovare risposte sul significato e la missione dell’arte cristiana. Come i numeri precedenti, la pubblicazione raccoglie riflessioni, esperienze, incontri e interrogativi sulle tematiche della cultura e dell’arte – nella sua accezione più ampia, dalla teologia all’icona e all’architettura, dalla pittura moderna alla letteratura e alla biblistica – intesa nelle sue relazioni con il sacro e le domande di senso presenti nella società.
Nel centenario della nascita di san Giovanni Paolo II, i «doni» offerti dal nuovo numero dell’almanacco moscovita iniziano con un omaggio alla sua figura, presentando la sua «Lettera agli artisti» del 1999 a cui fa seguito una riflessione di Ol’ga Sedakova, una sorta di risposta ideale dell’intelligencija russa all’appello – ancor oggi straordinariamente attuale – del Papa a riscoprire la dimensione dell’arte come epifania del mistero.
Il dialogo cattolico-ortodosso sul tema della bellezza prosegue nella rivista con un contributo di Petr Butenev, docente all’accademia teologica San Vladimir di New-York, che riflette sull’esperienza del perdono cristiano come possibilità di restaurare la bellezza primigenia dell’essere umano, prendendo come punti di riferimento i padri orientali e latini da Giovanni Crisostomo ad Agostino, la filosofia religiosa russa degli inizi del XX secolo e pensatori occidentali come Simone Weil e David Bentley Hart. Come ha sottolineato Irina Jazykova durante la presentazione della rivista, «abbiamo bisogno di ricordare che nel cristianesimo la bellezza non è una categoria riservata semplicemente alla sfera artistica. La prima bellezza – l’estetica per eccellenza – trova espressione nel rapporto dell’uomo con Dio e con il proprio simile». Proprio al tema della comunicazione dell’esperienza cristiana, e in particolare al tema del linguaggio usato della Chiesa, è dedicato il dialogo tra il direttore responsabile Sergej Čapnin di «Dary» e padre Vjačeslav Perevezencev: un dialogo molto franco, aperto e talvolta doloroso, dove si evidenziano ferite ma si portano anche esempi luminosi, tratti in particolare dall’esperienza di padre Aleksandr Men’, per sottolineare la necessità di ritornare alla centralità del Vangelo, senza il quale anche i concetti di valori, tradizione ecc. assumono inevitabilmente connotazioni ideologiche.

Jurij Chimič (1957-1971).
Uno spazio particolare nella pubblicazione è dedicato alla figura di Jurij Chimič, pittore ucraino morto nel 2003. È suo, tra l’altro, il suggestivo particolare di dipinto riprodotto in copertina. Čapnin, presentando a Mosca nei giorni scorsi l’almanacco, ha illustrato il progetto di organizzare a Mosca una personale dell’autore, non appena lo stato delle relazioni russo-ucraine lo consentirà. Un «pittore-architetto», così ha definito Chimič il critico d’arte Boris Sorokin, che in questo numero di «Dary» dedica un ampio contributo all’artista, presentandolo in primo luogo come un pittore che sa cogliere la drammaturgia nel paesaggio attraverso l’accostamento di vecchio e nuovo, sacro e quotidiano: ad esempio, raffigurando la splendida cattedrale di Santa Sofia a Kiev con in primo piano un cortile in cui sono stesi ad asciugare i panni, oppure il contrasto fra le chiese della vecchia Mosca e il brulicare della folla, il frenetico movimento della grande metropoli tutt’intorno.
Straordinario come l’artista sia stato in grado di elaborare, dalla fine degli anni ’50 al 1971 – in un decennio tutt’altro che facile per la cultura cristiana, tra l’acuirsi delle repressioni chruščeviane nei confronti delle comunità cristiane e la successiva «stagnazione» – dei cicli dedicati alle antiche città russe, di cui dipinge (come amava dire lui stesso) «ritratti» ad acquarello e a gouache, le cui dominanti sono indubbiamente le chiese. Un posto particolare nel «ciclo russo» di Chimič spetta al Cremlino di Rostov (cui è dedicato il calendario 2021 di Russia Cristiana), edificato nel XVII secolo dal metropolita Iona come immagine della Gerusalemme celeste. Con ogni probabilità l’artista, in epoca sovietica, non poteva essere a conoscenza dei particolari di questa vicenda e delle concezioni teologiche che avevano guidato il vescovo, eppure – fa notare Sorokin – i suoi quadri non ci parlano delle vestigia di un’epoca tramontata, ma ci mostrano questo straordinario complesso architettonico hic et nunc, come un luogo di vita, di una Presenza.
Sfoglia la gallery con opere di Ju. Chimič:
Nella sezione dedicata all’arte sacra oggi ci limitiamo a segnalare (li presenteremo in seguito a parte, estesamente) due contributi sull’affresco e sull’impiego dell’oro nell’arte sacra oggi, rispettivamente a cura di Aleksej Trunin e Ol’ga Šalamova, e di Filipp Davydov.

Jurij Charitonov.
Interessanti anche un articolo sulla rinascita della lavorazione artigianale dei metalli, e una conversazione di Irina Jazykova con Jurij Charitonov, architetto di Samara che ha costruito decine di chiese in tutta la Russia e anche in Serbia e Montenegro. Facendo il bilancio della sua ormai cinquantennale attività, Charitonov insiste in particolare sull’unità stilistica che deve contraddistinguere un edificio di culto nel suo aspetto esterno e nella configurazione degli interni, da un lato, e sull’unicità di ciascun edificio o complesso sacro, dall’altro. Proprio perché «ogni chiesa è una storia particolare», l’architetto attinge a fonti storiche, culturali e artistiche di volta in volta diverse, senza dimenticare che la storia a cui far riferimento non è soltanto quella di una quasi mitica «Santa Rus’» ma anche quella dell’epoca sovietica, con le sue repressioni e i suoi lager. Così, ad esempio, nella costruzione del nuovo monastero della Madre di Dio di Kazan’ sul Volga ha voluto rimarcare che in questo luogo per anni è esistito un lager dove «hanno trovato la morte molti uomini… Del lager è rimasta una strada di ciottoli, opera dei detenuti, su cui ogni giorno marciavano sotto scorta per andare al lavoro. Un passo a destra, un passo a sinistra, e venivano fucilati – rievoca Charitonov. – Abbiamo usato l’edificio semidiroccato ma con solide fondamenta di una delle baracche per costruire l’eremo del monastero. In questa zona adesso ci sono soprattutto dacie, la gente che viene a passare l’estate non sa neppure che qui esisteva un lager. Ma è la nostra storia, dobbiamo farne memoria. Insomma, si è deciso di costruire l’eremo proprio in questo punto perché le suore possano pregare in particolare per le vittime che qui hanno trovato sofferenze, torture e morte».

Il monastero della Madre di Dio di Kazan’ sul Volga.
Un altro dei principi seguiti da Charitonov è l’ideazione di «complessi sacri polifunzionali»: non si può più pensare al singolo edificio sacro come luogo della celebrazione liturgica, perché la Chiesa è chiamata «a un lavoro su molti fronti – educativo, caritativo, rivolto ai bambini, ai giovani e così via». Per questo occorre progettare complessi parrocchiali comprendenti più ambienti destinati a questo tipo di incontri, ma «all’interno di un unico spazio, in una struttura che si raggruppa intorno alla chiesa, perché la liturgia è il nucleo centrale intorno al quale si sviluppa la vita parrocchiale».
Alla poesia dei salmi e alla drammatica espressività del grido umano che sale a Dio da questi testi, così attuali anche per l’umanità contemporanea, è dedicato il contributo di padre Leonid Griliches, biblista, docente all’Accademia teologica di Mosca e parroco della parrocchia ortodossa di Bruxelles. Si segnalano inoltre alcune affascinanti note di viaggio in Cappadocia, a cura dell’artista e fotografo Sergej Šichačevskij, e un reportage di Yves Hamant sulla ricostruzione di Notre Dame, affiancato a un articolo di Dmitrij Sladkov sul tema della memoria e della salvaguardia del patrimonio culturale. Infine, è stato dato ampio spazio alla commemorazione di tre studiosi e «maestri» nel campo della storia dell’arte e della musica, scomparsi nel 2020: Ol’ga Popova, padre Nikolaj Vedernikov e Natalija Šeredega.
Giovanna Parravicini