Baracche invece di icone. La pittura di Oscar Rabin

Oscar Rabin iniziò come giovane pittore dell’avanguardia underground sovietica. Poi emigrò e  divenne famoso in America. Voglia di libertà, anche espressiva, e sensibilità al problema religioso erano le sue caratteristiche.

Oscar Rabin (1928, Mosca – 2018, Firenze) è stato uno dei fondatori del gruppo artistico informale «Ljanozovo», e l’organizzatore dell’ormai famosa «mostra dei bulldozer» nel 1974. Esponente di spicco dell’avanguardia russa, nell’arte come nella vita è stato un non conformista; non potendo lavorare ed esprimersi in patria, dov’era accusato di «parassitismo», passa in Europa e nel 1978 gli viene tolta la cittadinanza sovietica, che gli sarebbe stata restituita quando ormai era all’apice del successo, nel 1990. Oggi le sue opere sono presenti nei maggiori musei russi. Nel 2007 la Galleria Tret’jakov gli ha dedicato una grande mostra.
Pur non essendo un cristiano praticante, Oscar Rabin ha sempre avuto un’acuta, vivida percezione del problema religioso, e tutta la sua opera è attraversata da immagini e simboli cristiani, che trovano echi profondi nella sua esperienza umana e artistica.

La vita lo costrinse a crescere in fretta, avendo perso il padre quando aveva solo 5 anni, e la madre quando ne aveva 13; e a sfidare da solo la guerra, la fame, l’epoca staliniana. Oscar Rabin si immerse a capofitto, negli anni dell’adolescenza e della giovinezza, nella pittura accademica, nella copia dal vero, secondo gli schemi del realismo socialista allora imperante. Ma poi sopraggiunse il «disgelo», a cui la pittura accademica reagì vivacemente: nel 1956 Plastov dipinse la sua «Primavera», che sarebbe ben presto stata esposta alla Galleria Tret’jakov e avrebbe segnato una ventata di novità – un nudo femminile, che alludeva allo svelamento della verità e all’apparire di una vita purificata e libera.

Baracche invece di icone Oscar Rabin

A. Plastov, “La Primavera”.

 

Nel medesimo periodo anche Rabin offre una propria versione degli eventi che scuotono la società sovietica. Iniziavano le riabilitazioni, per la prima volta si parlava – talvolta addirittura in tono di pentimento – dei terribili crimini commessi dal regime staliniano. Rabin ha una propria visione degli eventi, uno sguardo tra l’ironico e il diffidente che si esprime non solo nella scelta dei soggetti ma anche nelle forme e colori dirompenti, che non hanno più niente a che vedere con l’arte accademica ufficiale. I detenuti (zek) rimessi in libertà dai lager troveranno nel mondo civile in cui rientrano le stesse baracche in cui sono vissuti per anni, con la sola differenza che ora sono illuminate dal sole: così Rabin sintetizza la storia nel suo «Paesaggio ottimista» del 1959. Il sistema socialista non apporta reali cambiamenti nella vita degli ex-zek: anche «in libertà», la «libertà» è regolamentata. Non esiste pentimento, ma solo un trasferimento nello spazio, in condizioni relativamente più accettabili di libertà fisica, ma sostanzialmente «da baracca a baracca»: ti hanno semplicemente messo in mano il certificato di riabilitazione, come fu per la famiglia Kropivnickij, che accolse Rabin nella propria casa a Lianozovo – in quella che sarebbe divenuta di fatto casa sua.

Baracche invece di icone Oscar Rabin

O. Rabin, “Paesaggio ottimista” (facebook @tretyakovgallery).

La vita nel sobborgo metropolitano di Lianozovo diventa un paradigma della Russia sovietica poststaliniana. C’è chi fa un parallelo tra la Vitebsk di Chagall e la Lianozovo di Rabin: solo che Chagall descrive il paradiso, e Rabin il purgatorio, l’inferno e il giudizio universale.

Le opere di Rabin sono una sconvolgente rivelazione sulla vita dell’uomo comune, in provincia, nella Russia ancor viva e crocifissa, e nonostante le modeste dimensioni delle tele ne offrono una visione monumentale, apocalittica.

«Dalla fine degli anni ’50 la nostra casa diventò uno dei centri dell’arte indipendente – scrive Valentina Kropivnickaja, successivamente divenuta la moglie di Oscar. – Spesso si riunivano, poeti, artisti, musicisti, si parlava e si discuteva di cultura contemporanea, di problemi di pittura, si organizzavano esposizioni di quadri e loro disamine» [efn_note]Oscar Rabin, Tri žizni (Tre vite), Parigi-New-York 1986. Alcune citazioni sono tratte anche dal catalogo di Rabin pubblicato dalla Galleria Tret’jakov.[/efn_note].
La generazione di Rabin torna a interessarsi all’avanguardia russa, al «Fante di quadri». È così anche per lui, sebbene, pur muovendosi in questa direzione, egli imprima alla sua arte marcati tratti espressionistici. Nelle sue opere del periodo di Lianozovo non troviamo soggetti direttamente legati alla guerra o alle repressioni staliniane. Sceglie invece la via di tradizionali paesaggi e nature morte, in cui inocula però un dirompente fermento espressionista che non ha niente in comune con questi «pacifici» generi artistici. È una sorta di «innesto dissidente» nella natura dell’avanguardia prerivoluzionaria. Rabin avrebbe ricordato: «A Mosca allora regnava un’atmosfera abbastanza unica. Per la prima volta dopo anni le autorità avevano permesso di pubblicare minuscole antologie di versi di Esenin e della Achmatova, che si esaurirono con incredibile rapidità. Apparve “Sintaksis” di Alik Ginzburg, un almanacco dattiloscritto con poesie di Marina Cvetaeva, Osip Mandel’štam, Bella Achmadulina e Genrich Sapgir, Okudžava, Brodskij e altri ancora. Per l’insubordinazione, in verità, Alik si buscò due anni di lager, ma erano state gettate le basi del samizdat…».

Anche l’arte non conformista di Rabin diventa una sorta di samizdat, di cui nessun museo vuol sapere, anche se fanno la loro comparsa collezioni private (Costakis, Nutovič, Taločkin e altri ancora), che affermano il diritto a un’arte alternativa e sostengono gli artisti insofferenti delle leggi del realismo socialista, portatori di una nuova concezione estetica.
La «Bambola ubriaca» (1964) mostra la tragedia del terribile stato di abbandono dell’umano e del divino, di cui Rabin parla per la prima volta, e che è l’esito dell’edificazione del «socialismo maturo». La creatura di sesso femminile ubriaca è la «donna dalla dura sorte», uno dei personaggi ricorrenti nell’arte di Venedikt Erofeev.
In questo quadro dal soggetto scabroso, in cui cozzano i generi del paesaggio e della natura morta (è quest’ultima a trionfare), vediamo un corpo morto, senza diritto alla resurrezione. È un giocattolo inerte, rifiutato dagli uomini e anche da Dio.

Oscar Rabin

O. Rabin, “La bambola ubriaca”(facebook @tretyakovgallery).

Lianozovo era una delle località in cui venivano a stabilirsi gli ex detenuti, e Rabin avrà la possibilità di conoscerne le storie dal vivo: «Infatti, avevano trasferito altrove il campo che si trovava lì, a quattro chilometri dal mio lavoro, e le baracche in cui erano vissuti i detenuti furono messe a disposizione dei cittadini». Anche Rabin e la moglie troveranno alloggio in una di queste baracche. «Costruita senza fondamenta, direttamente sul terreno, la baracca era talmente umida che le scarpe posate sul pavimento nel giro di pochi giorni si coprivano di muffa. Ma nessuno faceva caso a simili piccolezze. Per la prima volta in vita nostra avevamo una stanza tutta per noi ed eravamo felici…».

Nel 1957 per la sua piccola monotipia esposta alla mostra per il Festival internazionale della gioventù e degli studenti, Oscar riceve il diploma del Festival. Sull’onda del «disgelo» Lianozovo entra a far parte di Mosca: gli stranieri possono quasi senza impedimenti recarsi a casa sua, nella cortina di ferro si aprono degli squarci. «A portarci il primo straniero fu il poeta Igor’ Cholin. Era una giornalista americana, miss A.M. Cholin agì con cautela, A.M. si vestì in modo da non dare nell’occhio, lasciò l’auto lontano dalla stazione, in treno non aprì bocca, e insieme a Cholin arrivò senza incidenti a Lianozovo», avrebbe ricordato Rabin. I suoi primi quadri Oscar li vende a un famoso collezionista greco, Costakis, che lavorava all’ambasciata canadese a Mosca.
«Arrivato a Lianozovo, Costakis scelse due quadri e chiese quanto costavano – ha scritto Rabin a proposito della prima visita del collezionista. – Io non sapevo che pesci pigliare e, alla fine, mi forzai a dire: “Cinquanta rubli”. Poi aggiunsi in fretta: “Ma se le sembra caro, posso dimezzare il prezzo”. Mi rispose: “Caro mio, i suoi quadri valgono ben di più. Non sono ricco, ma glieli posso pagare cento rubli l’uno”. Io ero felice e immediatamente gliene regalai un terzo. Essere nella collezione Costakis, infatti, era un onore…».

Costakis

G. Costakis (al centro) con artisti russi (facebook @tretyakovgallery).

La collezione Costakis, in effetti, mostra la continuità fra la prima avanguardia russa e la ripresa della tradizione di quest’arte negli anni ’60, getta un ponte fra le diverse esperienze e recupera uno sguardo autentico sulla natura dell’arte non conformista. A Costakis avrebbero poi fatto seguito anche numerosi altri collezionisti.

La personalità di Oscar Rabin viene tradizionalmente collegata all’audace iniziativa della «mostra dei bulldozer» del 1974. Fu un gesto realmente coraggioso, perché affermava la possibilità e il diritto all’esistenza nello Stato sovietico di un’arte diversa, che rifiutava di piegarsi al diktat della mediocrità artistica instaurata dall’ideologia. Dopo questa mostra, nel 1976 le autorità permisero di esporre i quadri a Izmajlovo e di aprire una galleria espositiva in via Malaja Gruzinskaja a Mosca. Tutti questi avvenimenti sono indubbiamente collegati alla fattiva partecipazione di Rabin, alla sua personalità e al suo impegno personale per la libertà di creazione.

Baracche invece di icone Oscar Rabin

La “mostra dei bulldozer”, 1974.

La realtà crepuscolare di Lianozovo resterà per sempre la patria di Rabin, e l’atmosfera di Parigi, in cui l’artista vive dal 1978, non farà che rinfocolare questo suo primo e non facile amore. Parigi libererà nuove forze creative nell’artista, e le opere del periodo parigino sono assimilabili a interminabili lettere inviate in patria. Dopo il celebre quadro «Passaporto» (1972), Oscar Rabin diventa cittadino del mondo, privo della cittadinanza russa. In Francia appaiono opere liriche, come «Cappella in Provenza» (1984), e altre, «cosmiche», filosofiche, come il «Re dei giudei» (2000), quadri dipinti all’incrocio di due millenni, di carattere apocalittico.
Rabin trascorre tutta la vita in un interminabile dialogo con Dio, cambiando il nome delle vie a Lianozovo nei suoi quadri, dedicandole ora a Cristo ora alla Vergine. È stato un cercatore di Dio, così come ne è stata alla ricerca tutta l’arte del XX secolo. E a me sembra che l’abbia trovato…

(Fonte: «Dary», Mosca, 2019)

Tat’jana Vendel’štejn

Alcune opere di Rabin

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