I volti della Chiesa

La «Scuola iconografica di Seriate» ha partecipato a un interessante progetto di mostra itinerante, che vuol offrire un messaggio ecumenico e culturale oltre che artistico, con cinque icone di santi occidentali del primo millennio: Sant’Ambrogio, con i martiri Gervasio e Protasio; San Benedetto; i santi vescovi milanesi Dionigi e Simpliciano; Santa Cunera.

Il 20 dicembre a Minsk è stata inaugurata la mostra «Santi della Chiesa indivisa», che ha inziato così un viaggio che promette di essere lungo. Nel Museo Nazionale d’arte della Repubblica bielorussa sono state presentate oltre cento icone di santi occidentali del primo millennio, canonizzati prima dello scisma della Chiesa del 1054. Sono tutte raffigurazioni nuove, create da artisti di vari paesi appositamente per questo progetto, organizzato dall’Associazione a sostegno della cultura cristiana moderna Artos (Mosca).
Gli autori delle icone fin dall’inizio sono stati messi davanti ad un compito paradossale. Da un lato avrebbero dovuto dipingere santi antichissimi, noti alla Chiesa fin dai primi secoli: martiri, teologi, missionari, fondatori di monasteri, vescovi e principi. Questi santi hanno dato il nome a città, ospedali, scuole, in tutta Europa e non solo. D’altro canto molti di loro erano in qualche modo «invisibili» per l’iconografia, il linguaggio visivo con il quale la Chiesa parla del mondo e di sé. Di molti santi non si sono conservate icone, e in vari casi non ne furono mai dipinte, innanzitutto perché in Europa occidentale la storia dell’arte sacra si è sviluppata diversamente da Bisanzio o dalla Rus’, non dappertutto esiste la pittura di icone «classica», come la intendono i teologi. In secondo luogo, la divisione delle Chiese ha fatto sì che in Oriente, dove l’arte dell’icona si è conservata più a lungo, si smettesse di considerare come «propri» molti santi occidentali, e non si dipingessero quasi mai loro icone. Per questo motivo gli iconografi spesso non hanno potuto fare riferimento ad alcun modello storico, e hanno dovuto «scrutare» i santi dei primi secoli ex novo, tradurre in volti dei puri nomi.

È qualcosa di più di un gioco stilistico postmoderno: è il tentativo di vedere la Chiesa e l’Europa in modo nuovo, di vedere che sono piene di volti, molti dei quali risultano inaspettatamente conosciuti. Ed è importante che quest’incontro, questa reciproca memoria abbia già una lunga storia. Come ha detto Sergej Čapnin, curatore della mostra, a cominciare a dipingere icone dei santi occidentali del primo millennio furono gli emigrati russi, approdati in Francia e in altri paesi dell’Europa occidentale dopo la rivoluzione del 1917. Questa generazione riscoprì contemporaneamente l’arte dell’icona, da tempo caduta in oblio, e la dimensione universale della Chiesa, senza limitazioni di confini nazionali e culturali. Ad esempio, gli immigrati ortodossi cominciarono a chiamare i loro figli in onore di santa Genoveffa di Parigi, che avevano cominciato a venerare come propria patrona. Contemporaneamente alla mostra si è svolto un convegno, durante il quale lo storico Michail Sarni, parrocchiano della cattedrale della Dormizione a Londra, ha raccontato di come il metropolita Antonij di Surož avesse ridato vita alla devozione per i santi antichi nella sua diocesi e istituito la festa della Sinassi dei santi della Gran Bretagna e Irlanda. E nel marzo 2017 la Chiesa ortodossa russa ha introdotto nel calendario liturgico i nomi di quindici santi occidentali dei primi secoli, come san Patrizio d’Irlanda e santa Blandina di Lione. Naturalmente, il recupero della memoria di queste figure è sempre legato alla creazione di nuove icone.

Parallelamente i cristiani d’Occidente, per i quali questi santi sono sempre stati prossimi e familiari, nel corso del XX secolo hanno scoperto la teologia dell’icona, soprattutto grazie all’incontro con gli immigrati russi. E ora non solo nelle chiese ortodosse, ma anche in quelle cattoliche e protestanti, possiamo vedere immagini di santi locali dipinte secondo i canoni dell’icona, che svelano la profondità della natura stessa dell’uomo.
La mostra inaugurata a Minsk è il frutto di questo incontro, di questa reciproca scoperta. Artisti dell’Est e dell’Ovest hanno dipinto immagini di quasi 150 eremiti, poeti, confessori, soldati e costruttori. Questo evento non può essere considerato l’inizio del lavoro, perché è cominciato molto tempo fa, ma non vogliamo neanche ritenerlo la sua conclusione. Al contrario, questa mostra ci incita a continuare il lavoro e ad approfondire questa visione trasfigurante che è l’icona. Varie immagini di santi irlandesi, tedeschi, spagnoli restano molto «russe» o «greche» nella maniera pittorica. È persino strano che nessuno degli artisti abbia usato la tecnica, tipicamente occidentale, della vetrata, che svela con tanta profondità il mistero della luce increata, come fa il fondo dorato delle icone e dei mosaici orientali. D’altro canto, la mostra è una vivida testimonianza di come l’arte religiosa contemporanea sia un linguaggio vivo e libero, aperto al pensiero e alla creatività.

È bello poi che il percorso della mostra sia cominciato in Bielorussia, dove sono sempre state presenti sia la tradizione cristiana orientale che quella occidentale, conservando sia la memoria dei santi della Chiesa unita, sia l’arte delle icone. Simbolico anche il fatto che la mostra sia stata invitata a Minsk dalla parrocchia ortodossa di Tutti i Santi. Purtroppo anche la divisione si sente in maniera forte. Ad esempio, all’inaugurazione della mostra erano presenti monsignor Jurij Kosobuckij, vescovo ausiliario cattolico della diocesi di Minsk, e il nunzio apostolico Gabor Pinter, ma il metropolita ortodosso Pavel ha rifiutato di partecipare, perché a suo parere la mostra era un esempio di «uniatismo in pittura». Contemporaneamente, lo Stato bielorusso ha negato ai cattolici locali la festività del 1° novembre, giorno di Tutti i Santi, con la motivazione che «in questo modo potrebbero essere violati i diritti dei non credenti», sebbene la corrispondente festa ortodossa in Bielorussia sia già da tempo un giorno non lavorativo.
Per poter parlare di unità, bisogna superare la reciproca sfiducia e mancanza di rispetto. Ma, forse, la via migliore per farlo è proposta dalla stessa mostra, che ci richiama alla bellezza.
Dopo Minsk, la mostra «Santi della Chiesa indivisa» sarà esposta in diverse città russe, per poi cominciare un viaggio attraverso i paesi dell’Europa occidentale. Buon viaggio!

 Andrej Strocev

Le icone della Scuola di Seriate presenti in mostra.

 

 

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