È uscito recentemente a Mosca il volume La bellezza attraverso i secoli, una serie di «incontri» con artisti occidentali famosi e meno famosi, appartenenti a svariate epoche e culture – dalle pitture rupestri preistoriche al Beato Angelico, da El Greco a Nikolaj Ge, Georges Rouault e Kazimir Malevič – accomunati da una ricerca di autenticità che lega ciascuno di essi con un filo di amicizia all’autrice. Irina Jazykova, storica dell’arte e specialista nel tema dell’icona contemporanea, ci accompagna qui a scoprire l’«iconicità» di ogni vero artista, cioè la sua tensione a rappresentare attraverso il segno un mistero che può inquietarlo, commuoverlo, trasfigurarlo, ma che in ogni caso si rende presente attraverso la sua opera. Proponiamo ai lettori uno degli ultimi saggi, dedicato a un’artista ebrea-russa dei nostri giorni, in cui i temi della Storia della salvezza, dell’Olocausto e del GULag si intrecciano in un cammino di sofferenza e di speranza.
Lilija Ratner (1929-2016), artista e storica dell’arte, appartiene alla generazione che ha attraversato tutte le peripezie del XX secolo: le repressioni staliniane, la guerra, l’evacuazione, la miseria del dopoguerra, il disgelo chruščeviano, la perestrojka, il periodo postsovietico. Peripezie da lei vissute con grande dignità e onestà – da persona, cristiana e artista autentica che era.
Lilija nasce a Mosca, si diploma all’Istituto Poligrafico e trova la sua strada come illustratrice di libri sia per l’infanzia che per adulti. Nel 1961 entra a far parte dell’Unione degli artisti, e nel corso della vita parteciperà a numerose mostre ottenendo vari riconoscimenti, in Russia e all’estero.
Fin dagli anni dell’Istituto Poligrafico, dove insegnavano molti ex-allievi del celebre VChUTEMAS (l’istituto moscovita che insieme alla tedesca Bauhaus gettò le basi dell’architettura e del design del XX secolo), Lilija apprende i principi di ciò che in URSS veniva condannato come «formalismo», ed era in realtà una battaglia per l’arte libera da ogni forma di ideologia. Dopo il diploma entra nello studio «Nuova realtà», diretto da Elij Beljutin, che come molti suoi contemporanei negli anni del disgelo cominciava a sperimentare nuove soluzioni artistiche, alternative al realismo socialista. Nel 1961 il collettivo giovanile di Beljutin organizza una prima mostra («Gli avanguardisti di via Kommunističeskaja»), che suscita un certo scalpore, ma il vero scandalo scoppierà nel dicembre dell’anno successivo, quando Chruščev visita al Maneggio la mostra a cui i giovani artisti erano riusciti a fatica a farsi ammettere: gli improperi del segretario generale del partito nei confronti dell’arte contemporanea sono passati alla storia, e parecchi in quell’occasione ebbero seriamente paura di dover subire repressioni: solo pochi anni prima per opere di quel genere la gente finiva realmente in prigione. I giovani artisti però vengono semplicemente espulsi dall’Unione degli artisti, e ben presto reintegrati. Alcuni di loro, in seguito, diventeranno celebri in tutto il mondo, come Ernst Neizvestnyj, Leonid Rabičev e altri ancora.
La serie dei «Profeti biblici»
Alla fine degli anni ’70 Lilija Ratner incontra la fede e, di fronte al nuovo mondo che le si spalanca davanti, per qualche tempo l’arte passa in secondo piano. Certo, continua a illustrare libri, a occuparsi di design, ma a lungo la tormenta l’interrogativo di come unire insieme creatività e fede. Tanto più che fra i neofiti era diffusa l’idea che l’arte fosse una tentazione, una forma di orgoglio. È la vita stessa a suggerirle la risposta. Quando la Chiesa ottiene la libertà, alla fine degli anni ’80, con l’energia che la caratterizza Lilija offre il suo aiuto per la pubblicazione di periodici e libri cristiani per l’infanzia. Ma il suo cuore chiede di più, e ben presto nasce l’idea di realizzare una serie di opere di grafica sul tema dell’Antico Testamento: nasce così la serie ormai famosa dei «Profeti biblici», a cui lavorerà per oltre vent’anni, fino alla fine della vita.
Sebbene la storia dell’arte conosca innumerevoli opere dedicate a questo tema, i lavori della Ratner affascinano fin dal primo sguardo per l’insolita resa delle figure e l’originalità di lettura del testo biblico: lo spettatore stabilisce istantaneamente un contatto con i personaggi dell’antico racconto, trova con essi un linguaggio comune, comprende in profondità il messaggio di ciascuno di essi. Si entra così nel misterioso, stupefacente mondo della Bibbia, in cui Dio parla a tu per tu con l’uomo; in cui i cieli si aprono e gli animali divengono altrettanti simboli dell’esistenza umana; in cui i miracoli sono più frequenti della pioggia che cade sul terreno pietroso di Israele. Guardando queste immagini, lo spettatore comincia a capire di essere lui pure parte di questa antica narrazione, comprendente l’inizio e la fine del mondo, uomini e fatti che mutano le sorti dell’umanità – di essere parte del grande disegno di Dio sul mondo e sull’uomo.
La serie si intitola «Profeti» sebbene se vi figurino anche patriarchi, eroi e re dell’Antico Testamento. Nella concezione biblica profeta è chiunque abbia udito la voce di Dio. Ma ciascuno reagisce diversamente: c’è chi lascia la propria casa e si dirige verso la Terra promessa, come Abramo. C’è chi, come Giona, temendo che Dio gli chieda troppo si imbarca nella direzione opposta. Qualcun altro, come Isaia, trovandosi al cospetto di Dio trema per la propria indegnità, ma grazie all’angelo che gli purifica le labbra con un carbone ardente acquista il dono della profezia e dice: «Eccomi, manda me».
Alcuni fogli della serie colpiscono per la loro tenerezza: ad esempio, Abramo abbraccia Isacco stringendoselo al petto, perché Dio non ha preteso dal suo cuore paterno il crudele sacrificio; in altre opere vediamo la potenza dell’Esodo – un gigantesco Mosè con le tavole della legge conduce la lunga fila degli ebrei nel deserto. C’è poi la toccante figuretta del profeta Eliseo, che si aggrappa al mantello di Elia, il quale si innalza impetuosamente in cielo sul carro di fuoco. Affascinano anche la danza di Davide davanti all’Arca e il cadenzato movimento ascendente e discendente degli angeli lungo la scala celeste vista in sogno da Giacobbe. Ogni foglio di questa serie lascia stupiti per l’inaspettata resa di un soggetto che ci sembrava già di conoscere.
Nell’insieme i fogli rappresentano una Bibbia «vivente». Lo stile brillante, puntuale e ben riconoscibile di Lilija Ratner unisce un virtuoso possesso della linea – leggera, agile, elastica, a una resa ingenua, quasi infantile delle forme; la sapiente lettura dei profondi significati biblici si accompagna a semplicità e chiarezza di espressione; le sagome essenziali vengono arricchite da un’infinità di interessanti particolari. L’artista attualizza gli antichi testi mettendoli in diretto rapporto con quanto viviamo noi oggi, a distanza di secoli.
L’Olocausto, esito della rivolta contro Dio
Parallelamente alla serie dei «Profeti», Lilija Ratner ha ideato anche una serie grafica dedicata alle vittime dell’Olocausto. Il lavoro a questa serie le ha richiesto molte più energie, dedizione e anche sofferenza. Se i «Profeti» erano nati facilmente, in maniera ispirata, quasi giocosa, come ammetteva lei stessa, l’«Olocausto» le è «costato sangue». I fogli di questa serie colpiscono per la loro incisività e la profondità di interpretazione del tema, le figure restano impresse nella nostra immaginazione.
Sull’Olocausto Lilija ha meditato a lungo, anche a motivo della sua stessa biografia: i suoi familiari infatti erano stati uccisi a Babij Jar. Ma non solo. Il suo interrogativo di persona, artista, cristiana, era: com’è stato possibile tutto questo? E ha capito che l’Olocausto non esprime solo l’odio dei nazisti nei confronti degli ebrei, ma la rivolta dell’uomo contro Dio. È stato allora che ha cominciato a disegnare, mostrando ancora una volta i medesimi profeti, ma nel lager o nel ghetto. Ad esempio, viene ripreso il disegno che illustra il «Cantico dei cantici», ma qui gli amanti abbracciati sono circondati da forche a cui sono già appesi dei corpi, e alcune travi ancora libere sembrano destinate ai due giovani. In un altro foglio il profeta Elia vola in cielo attraverso la ciminiera di una camera a gas, e i tre fanciulli sono rinchiusi nel forno crematorio di Auschwitz. Mosè prega davanti al Roveto ardente sotto il tiro dei mitra, e su Abramo che abbraccia il figlio amato si stende l’ombra di una stella gialla disegnata dal filo spinato. La medesima stella gialla appare sulle vesti di Mosè, che guida il suo popolo dentro il ghetto, mentre le labbra del profeta Isaia sono serrate. Ogni volta Lilija Ratner riesce a trovare una raffigurazione che mostra con eloquenza come ogni genocidio sia una rivolta contro il Dio datore di vita.
Dio crea l’uomo per l’amore, la fede, la speranza, la gioia. Gli uomini, al contrario, introducono nel mondo morte, sofferenze, dolore. Le opere di Lilija sono una risposta a quanti si chiedono: «Ma dov’era Dio, quando avvenivano questi orrori?». Dio è sempre lì dove gli uomini soffrono, insieme a loro. Non a caso nel «Compianto funebre» i protagonisti sono vestiti con l’uniforme dei detenuti.
Il pianto di un popolo
La fase successiva è stato il lavoro sul tema dei martiri del XX secolo, e più in generale delle vittime del GULag, sfociato nella serie «Sulla via di un grande dolore». Anche qui troviamo un motivo personale – uno zio materno, Gavriil Pušin, negli anni ’30 fu arrestato e fucilato – ma Lilija Ratner rivive anche la tragedia comune del Paese, non ancora compresa appieno dal suo stesso popolo.
Il tema delle vittime del lager è estremamente complesso, molti semplicemente cercano di evitarlo o addirittura di negarlo; ne è una riprova il fatto che Butovo, Kommunarka e gli altri memoriali siano poco noti e scarsamente frequentati, se non forse in particolari ricorrenze. E questo non vale solo per i non credenti ma anche per la Chiesa: in effetti, sebbene sia stata canonizzata una vasta schiera di nuovi martiri e confessori russi, le loro figure, le loro immagini, il loro culto non si sono mai diffusi.
Al contrario, meditando sulle tragedie del XX secolo, Ratner vuole mostrare come la violenza inflitta alla persona, sia pure in nome del luminoso futuro o del benessere della nazione, o a qualunque altro scopo, sia una terribile, diabolica trappola.
La serie grafica «Sulla via di un grande dolore» è molto variegata: vi si uniscono simbolismo e realismo, immagini iconiche e pubblicitarie, foto storiche e visioni profetiche. Felice in questa serie è la scelta del collage: in un manifesto sovietico, ad esempio, viene inserita la raffigurazione di una chiesa in fiamme, oppure sulle macerie di una chiesa, ripresa in fotografia, si libra in cielo una raffigurazione del Crocifisso. Questa commistione di piani diversi della realtà è volta a mostrare come dietro la facciata della realtà sovietica, che enfatizza sempre nuove vittorie e conquiste, il crescente benessere dei cittadini e la realizzazione di piani quinquennali, si celi il tragico mondo del GULag, in cui milioni di uomini subiscono spaventosi supplizi e vanno incontro all’eliminazione, alla morte sicura. E ogni chiesa distrutta e profanata rappresenta una continuazione della Passione del Signore.
Oggi molti ricordano nostalgicamente l’Unione Sovietica, dimenticando i suoi milioni di vittime; Lilija Ratner ce le ricorda, proprio in qualità di testimone passata nella sua lunga vita attraverso numerose vicissitudini, non ultima il rischio corso dai genitori, entrambi medici, di essere coinvolti in uno degli ultimi processi staliniani, montato appunto contro la categoria dei medici (fortunatamente, suo padre se la cavò semplicemente con una retrocessione nella carriera). La sua memoria anche in questo caso fa appello alla nostra coscienza, alla nostra libertà, alla nostra dignità umana – tutto ciò, appunto, che i capi del partito cercavano di sottrarre agli individui.
Nella serie «Sulla via di un grande dolore» è molto accentuata una visione cristiana: Lilija guarda la sofferenza attraverso il prisma del Vangelo, in cui leggiamo: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).
Esaminando queste opere si capisce che, per quanto spaventoso sia il mondo del GULag, esiste pur sempre una luce che viene dall’alto.
Ancora una volta, Ratner testimonia che Dio è presente al cuore della sofferenza stessa: ad esempio, vediamo la Madre di Dio che piange il Figlio vestito come un detenuto, perché ogni innocente ucciso partecipa al sacrificio di Cristo. Oppure, tre detenuti ridotti allo stremo in giubbe a strisce, che in questa «trinità» sono condannati a marciare, sostenendosi a vicenda. Lo scrittore Oleg Volkov descrive la vita nel lager come una «discesa agli inferi», ma per Lilija la vittoria della Resurrezione trionfa sull’inferno: la speranza che «l’inferno non permarrà in eterno», come si canta nella liturgia della Settimana santa, traspare intensamente in questa serie grafica.
Lilija Ratner non è stata solo una grande artista, ma anche una cristiana viva. All’inizio degli anni ’90 entrata a far parte della comunità parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano, ha cominciato a insegnare catechismo e centinaia di persone le sono grate per averle condotte a Cristo, aiutate a trovare la fede e il senso della vita. Dalla metà degli anni ’90 ha svolto lezioni di arte cristiana nell’università fondata da padre Aleksandr Men’ e in varie altre istituzioni (queste lezioni sono poi state raccolte in due volumi): concepiva il proprio insegnamento come un servizio, un aiuto a incontrare Cristo attraverso la bellezza, diceva che l’arte è il linguaggio di Dio, e la storia dell’arte è la storia dello Spirito. Era un’artista non solo in quanto grafica di grande talento, ma un’artista «per eccellenza», per la sua capacità di scorgere la bellezza ovunque, non solo nell’arte ma anche in natura, nella vita, nelle persone. Per il suo amore alla vita in tutti i suoi aspetti.
Lilija non ha avuto una vita facile: il marito Nikolaj era morto sui quarant’anni, lasciandola con un figlio di nove, Dmitrij che se ne sarebbe andato presto anche lui, per infarto, a soli 39 anni. Lei però non si è mai data per vinta, ha continuato a lottare, dipingere, insegnare, viaggiare, voler bene. Nell’ultimo anno era particolarmente affascinata dall’arte di Rembrandt, dalla profondità con cui questi raffigurava soggetti e personaggi biblici, rivivendoli dentro di sé. Sognava di andare in Olanda, nella patria dell’artista, per incontrarsi con lui nei luoghi dove aveva vissuto e lavorato. Ed è simbolico che il suo «ultimo amore» sia stato proprio Rembrandt: nei loro destini ci sono molti elementi in comune – anche lui aveva perso tutti i familiari, aveva conosciuto successo e ricchezza, povertà e oblio; eppure, aveva continuato a creare, e le sue raffigurazioni diventavano nel tempo sempre più profonde e ispirate.
Nel dicembre 2016, nell’arco di pochi giorni Lilija Ratner è mancata, «è volata via in un baleno» – hanno detto gli amici – nei tempi, del resto, di tutto ciò che faceva. Nel maggio 2017 in Olanda, patria di Rembrandt, si è aperta una sua piccola personale. E così i due artisti si sono finalmente incontrati.
Irina Jazykova