L’Apocalisse di suor Ioanna Rejtlinger

A cura di Bronislava Popova è recentemente uscito presso la nostra editrice il volume Una vita in dialogo, che raccoglie diari, lettere e meditazioni di Julija Rejtlinger (suor Ioanna, iconografa di spicco nel panorama dell’emigrazione russa), e padre Sergij Bulgakov, che per anni fu il suo padre spirituale e ne condivise le ricerche artistiche e spirituali. Il libro ne documenta le travagliate biografie ma anche la fede e la coscienza del compito loro affidato dalla Provvidenza, per la Russia travagliata dagli eventi rivoluzionari e nel nuovo contesto europeo in cui vennero a trovarsi.

Presentiamo qui un testo della stessa Bronislava Popova, dedicato al ciclo di affreschi che suor Ioanna dipinse per la cappella della Confraternita dei Santi Albano e Sergio, a Londra, e che resta una delle sue opere più significative.

Bulgakov Rejtlinger

Julija (suor Ioanna) con padre Sergij, in Francia.

Il silenzio e la pace degli anni parigini, trascorsi da Julija Rejtlinger presso l’Istituto teologico San Sergio accanto a padre Sergij e alla sua famiglia, venne interrotto dalla seconda guerra mondiale. L’occupazione tedesca non poteva non ripercuotersi anche sugli emigranti russi, soprattutto dopo il 22 giugno 1941. Cominciarono gli arresti fra studenti, docenti e figli spirituali di padre Sergij, che scriveva:

«Siamo con Cristo nella nostra sofferenza, come in un’agonia, nel dolore, come su un letto di morte. Oggi, in giorni di tragiche sventure della guerra, di una follia satanica, sui campi di battaglia non siamo soli, con noi c’è anche Lui… Anche questo fa parte della sua promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo…”, com-patirò con voi in ogni vostro patire… Sono le labbra umane riarse che invocano Cristo, che si schiudono all’incontro con Lui… È la voce del Suo sangue e acqua che si effonde dal costato… La storia umana è il regno di Cristo in croce, che si compie nella lotta e nelle sofferenze… A noi è dato di vivere in Cristo e con Cristo, di agire e obbedire nella storia in nome Suo… Cristo anche nella Resurrezione e nell’Ascensione resta con noi per vivere nella nostra esistenza terrena temporale, nel nostro agire umano, nella nostra storia umana…» (Christos v mire, in «Vestnik russkogo christianskogo dviženija, 2003, n. 186, pp. 53-54).

All’inizio della guerra padre Sergij tiene alcune lezioni sull’Apocalisse, come ricorderà uno dei suoi studenti, il futuro padre Aleksandr Šmeman: «I professori facevano lezione, e gli studenti ascoltavano, in aule senza riscaldamento. A stomaco vuoto. Ricordo ancora le mani violacee per il freddo di padre Sergij Bulgakov e l’atmosfera delle sue ultime lezioni… Parlava della sua interpretazione dell’Apocalisse, e più ancora delle sue parole ricordo la sua fisionomia, la straordinaria luce, ardore, fulgore che emanavano da lui in quegli ultimi anni… E sullo sfondo del “rumoreggiare” dell’epoca colpivano intensamente il suo servire l’unum necessarium e la nostra unità spirituale» (Monachina Elena, Professor protoierej Sergij Bulgakov. 1871-1944, Mosca 2003).

Come sempre, suor Ioanna era presente. Nella festa dello Spirito Santo del 1944 padre Sergij ebbe un colpo apoplettico. Mentre lo vegliava, il quinto giorno della malattia Ioanna vide trasfigurarsi il volto del suo padre spirituale, illuminato da una luce taborica. Questa luce diverrà il centro non solo della sua biografia spirituale, ma anche della biografia della stessa suor Ioanna, come le dirà in seguito, in Russia, padre Aleksandr Men’, divenuto suo padre spirituale: «Il Tabor è necessario per il Golgota».

Alla fine della guerra suor Ioanna viene invitata in Inghilterra dalla Confraternita dei Santi Albano e Sergio (sorta nel 1928 per contribuire all’avvicinamento tra le Chiese anglicana e ortodossa), per decorare la cappella di San Basilio a Londra. Prima ancora, a Parigi, dipinge in memoria di padre Sergij le icone dell’«Odigitria» e del «Salvatore», che costituiscono una sorta di «prologo» al ciclo londinese.

Fin dagli anni ’20 esistevano buoni contatti tra la Chiesa russa nell’emigrazione e l’Inghilterra. Nel 1930 in tutta la Gran Bretagna si organizzarono giornate di preghiera per la Chiesa russa e si raccolsero cospicue offerte per l’Istituto San Sergio di Parigi. Benché a Mosca tutto ciò fosse visto come un’azione politica e osteggiato, i contatti con l’Inghilterra proseguirono, e padre Sergij li caldeggiò sempre, con particolar riferimento all’operato della Confraternita.

L’Apocalisse di suor Ioanna Rejtlinger

Gli affreschi attualmente esposti presso il monastero di Cristo Salvatore, a Hove (Sassex, UK).

Il progetto compositivo degli affreschi

Trovandosi ormai in URSS, suor Ioanna così avrebbe descritto il suo lavoro a Londra: «La stanza con il vestibolo era adibita a cappella, vi si celebrava la liturgia, si recitavano le preghiere serali per chi viveva nella casa, non solo durante i convegni, ma sempre.

Ebbene, mi fu proposto di affrescare questa cappella. Ovviamente fui entusiasta della proposta. Per cominciare, mentre ero ancora a Parigi, preparai dei bozzetti degli affreschi e dipinsi le icone per l’iconostasi ad un solo registro. Arrivata a Londra, insieme ad alcuni aiutanti rivestimmo le pareti di tavole di compensato che poi intonacai, quindi eseguii i disegni preparatori con la tempera all’uovo, come nelle icone.

Affascinata com’ero dall’imitazione degli affreschi autentici, alla fine lasciai la mia opera così com’era, senza nessun tipo di fissativo. Questa mia ignoranza della tecnica (dovevo arrangiarmi da sola avendo solo delle nozioni di base sulla tempera all’uovo, senza poter contare su un ambito di artisti professionisti, lontana com’ero dalla patria), ebbe tristi conseguenze: nell’arco di pochi anni il colore, come si può immaginare, cominciò a rovinarsi. Per fortuna i responsabili se ne accorsero in tempo e chiamarono degli specialisti, che fissarono la mia sfortunata opera mettendola così in salvo.

La stanza con il vestibolo che fungeva da “cappella” era in sostanza il prolungamento della sala a piano terra dove si svolgevano le riunioni, e ne era separata mediante una porta di legno scorrevole a tutta parete, che veniva aperta durante gli incontri, e quando era chiusa fungeva da parete occidentale della cappella. Disturbava il progetto delle mie pitture murali, che raffiguravano il dispiegarsi della storia della Chiesa: il registro inferiore mostrava il suo manifestarsi sulla terra nella storia (i santi di tutti i tempi e popoli); in quello superiore, senza soluzione di continuità, si passava dalla Creazione del mondo all’Apocalisse. Di conseguenza, le porte che occupavano l’intera parete occidentale rompevano la sequenza pittorica.

Una vita in dialogoQuando le pitture furono ultimate, il difetto divenne così evidente anche agli occhi dei non iniziati, e talmente fastidioso, da far decidere all’unanimità che sarei dovuta tornare per rimediare all’errore dipingendo la parete occidentale. Determinante fu il parere di Vladimir Vejdle, che approvò il mio lavoro e si dichiarò invece contrario al mio ritorno in patria: “La persona che ha fatto questo lavoro deve trovare il modo di completarlo”. Ma quella persona invece andò nella Repubblica cecoslovacca per poi di lì partire insieme alla famiglia della sorella alla volta della Russia, e così la porta rimase com’era, guastando tutta la musicalità delle pitture» (Ju. Rejtlinger, S. Bulgakov, Una vita in dialogo, La Casa di Matriona – Edizioni Kolbe, Seriate 2023, pp. 31-33).

Nei limitati spazi della cappella di San Basilio trovò dunque posto l’Apocalisse del XX secolo. L’artista – suor Ioanna aveva ormai quasi 50 anni – si trasforma qui in veggente (al tema dell’Apocalisse, del resto, si era già rivolta decorando la chiesa di Meudon, in Francia, come leggiamo nel volume).

Padre Sergij scriveva dell’apostolo Giovanni, autore dell’Apocalisse: «Un veggente, con l’anima temprata nel fuoco, il cui libro dell’Apocalisse non appartiene a una vecchiaia che ha superato il tempo, ma a una giovinezza che si libra al di sopra di esso». L’Apocalisse «non è la storia degli eventi terreni, come la si scrive e la si studia, non vi si descrivono episodi o fatti esteriori che possano essere attribuiti con esattezza a uno spazio e a un tempo. È il simbolo di questi eventi, la loro sintesi interiore, ontologia, ovvero, in questo senso, una filosofia della storia» (Una vita in dialogo, pp. 8-9).

D’altro canto, non si possono immaginare suor Ioanna e padre Bulgakov fuori dal contesto storico. L’Apocalisse «viveva» nelle loro vite: prima la rivoluzione, poi la seconda guerra mondiale… Figli spirituali di padre Sergij come padre Dimitrij Klepinin e madre Marija Skobcova morirono in lager «a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso» (Ap 6,9), e mentre padre Sergij era ancora in vita 177 sacerdoti ortodossi francesi erano detenuti.

Nei suoi appunti di lavoro sulla cappella di San Basilio, suor Ioanna scrive: «Gli affreschi non si arrischiano a fornire un’еsegesi dell’Apocalisse, ma si limitano a illustrarla, a tradurla nel linguaggio plastico delle linee e dei colori». Anche l’autore dell’Apocalisse avrebbe potuto affermare di aver semplicemente visto e riportato ciò che l’angelo gli aveva mostrato.

Guardando le pitture…

Nelle sue soluzioni iconografiche suor Ioanna segue le riflessioni di padre Sergij. Cristo è raffigurato nella Gloria come «il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra» (Ap 1,5), in possesso delle «chiavi della morte e degli inferi» (1,18). È il «Signore dei signori e il Re dei re» (17,14), il Sommo Sacerdote, l’Agnello di Dio, «che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (1,5-6). Davanti all’Agnello si canta un canto nuovo: «Tu sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti» (5,9-10).

Sulla fascia inferiore è rappresentata la Chiesa storica terrena, che intercede per il mondo e fa la storia in lotta contro l’Anticristo. Le Chiese storiche sono rappresentate attraverso le assemblee dei padri orientali (greci, balcanici) e occidentali, gli evangelizzatori della Georgia e dell’Armenia, le schiere dei santi della Chiesa britannica e dei santi russi. Ciascuno di costoro a suo tempo ha reso gloria a Cristo. Le fisionomie dei santi sono individuali, ciascuno è connotato da un gesto che ne descrive il carattere. Sembra che suor Ioanna li conosca tutti «di persona». Non per nulla scrive nel diario:

«Penso ai santi: la santità non solo non cancella l’individualità, ma anzi, la fa emergere in forma trasfigurata. Individualità non significa individualismo, è semplicemente il “colore della pietruzza” creata da Dio quando ci ha creati, ciascuno nel suo genere, nel modo in cui ci ha pensati. Perdendo il nostro “io” in Cristo non perdiamo affatto il nostro “colore”. E sbagliano coloro che scambiano l’una cosa per l’altra cercando la via della salvezza, e spesso invece di crocifiggere il proprio “io” nel suo “individualismo” cercano una sorta di impersonalità, di neutro grigiore. I bambini e l’infanzia, che noi dobbiamo eguagliare per entrare nel Regno dei Cieli, nella loro spontaneità hanno un’individualità» (Una vita in dialogo, pp. 274-275).

L’individualità di ogni «pietruzza» nella tavolozza di suor Ioanna concorre a creare un abbagliante mosaico.
Ogni gruppo di santi è situato sullo sfondo della corrispondente architettura storica. Interessante notare che a destra della chiesa di Santa Sofia, sullo sfondo della quale sono assisi i padri bizantini, si distingue una fine scritta in arabo, a ricordare che a quel tempo il tempio apparteneva ai musulmani, e probabilmente anche in memoria dell’avvertimento di padre Sergij, che così sarebbe stato finché i cristiani non giungeranno all’unità (Cfr. S. Bulgakov, «A Santa Sofia», in Alle porte di Chersoneso e altri scritti, Milano 1998, pp. 275-283).

La fascia superiore è dedicata alla Creazione del mondo. Il momento iniziale, in cui «lo Spirito di Dio aleggia sulle acque», è immerso nell’azzurro.

«L’azzurro avvolge la terra buia, e nella sua trasparenza celeste ardono gli astri. E v’è il cielo azzurro nell’anima del creato, in cui risplende la Luce che illumina ogni uomo che viene al mondo… Il vuoto tenebroso del non-essere si riveste di celestiale azzurro, ciò che è incolore si riveste di colore. E in questa azzurrità che s’addensa, si infittisce si accendono le stelle… La luce azzurra dei cieli indica la benevolenza divina verso il mondo… L’incontro fra Dio e la sua creatura», scriveva padre Sergij ne L’Apocalisse di Giovanni (Apokalipsis Ioanna, Mosca 1991, p. 15).

La «Creazione del mondo» è di una straordinaria intensità e freschezza cromatica. Il Salvatore benedice il mondo: la Via Lattea azzurrina, tempestata di stelle, si dispiega sopra monti e colline che sembrano danzare e rallegrarsi davanti al Signore, come dice il Salmista. I pesci guizzano nei fiumi, gli uccelli nel loro piumaggio colorato sembrano uscire dalle mani del Creatore, gli animali sono presenti nella loro molteplicità: coccodrilli, leoni, cammelli, ippopotami…  «Ogni vivente dia lode al Signore». Il mondo creato da Dio è meraviglioso, e nel suo nascere ricorda le parole che spesso ripeteva padre Sergij: «L’inverno è passato, spuntano i fiori…».

L’Apocalisse di suor Ioanna Rejtlinger

L’angelo e san Giovanni evangelista.

Ma lì accanto c’è l’apostolo Giovanni con l’angelo che gli detta l’Apocalisse. Davanti a noi vediamo con gli occhi del Veggente un altro mondo, la bestia che trasforma ogni vita in deserto. La tragedia del mondo appare all’apostolo Giovanni nel tuono, nella tempesta e nei fulmini, egli rivive l’esperienza dei profeti dell’Antico Testamento. La stessa figura di Giovanni, dipinta con pennellate impetuose e illuminata dalla luce delle stelle e dalle fiamme delle visioni, è sconvolgente. «È boanērges, il “figlio del tuono”, è uno dei figli di Zebedeo, il quale voleva che scendesse dal cielo un fuoco su un villaggio di indocili samaritani, e la cui madre chiese che potesse sedere alla destra o alla sinistra di Dio nel suo Regno» (Una vita in dialogo, p. 9).

A sinistra, dall’affresco ci guardano quattro cavalieri: «È la rivelazione circa le sorti del mondo nella sua storia» (S. Bulgakov, Radost’ cerkovnaja. Slova i poučenija, Parigi 1938, p. 49). Il cavaliere bianco, personificazione della luce, immoto nella meditazione, è tuttavia pronto a colpire con la spada levata le forze del male. Il cavaliere sul destriero rosso piega il collo del cavallo con la spada, a lui «fu dato potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada» (Ap 6,4). Padre Sergij scrive:

«Questo ci libera da ogni sentimentalismo nei confronti della guerra… che è una tragedia, la lotta per il mondo da parte del principe di questo mondo, che segna l’avvicinarsi del giorno della sua sconfitta e dell’instaurarsi del regno di Cristo sulla terra» (Apokalipsis Ioanna, p. 19).

Il cavaliere sul cavallo nero spronato al galoppo, che cavalca a una velocità folle, è la carestia. Il quarto, sul «cavallo pallido», porta il nome di morte e inferno. La soluzione plastica della scena ha un’espressività straordinaria. Sembra che i cavalieri stiano per scendere dalla parete e irrompere nelle vie di Londra. Giovanni è come sopraffatto dalla visione. Vediamo poi «le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso». L’angelo si china su di loro consegnando le vesti bianche che ha in mano. È il requiem di suor Ioanna per le tante vittime delle repressioni, tra cui l’«Amico» di padre Sergij, padre Pavel Florenskij.

L’Apocalisse di suor Ioanna Rejtlinger

L’angelo con la chiave dell’Abisso e la grande catena.

La visione dell’Angelo con la chiave dell’Abisso e la grande catena (Ap 20,1-4; 21,10) sembra proseguire le visioni delle «anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio»… In un certo senso, è la figura della Chiesa russa decapitata e asservita, nei suoi ministri fucilati, nei monasteri trasformati in carceri e lager.

Lo sguardo successivamente si ferma sui vegliardi in vesti bianche, che hanno in mano rami di palma. Avvertiamo una sorta di respiro, di pausa, nella scena in cui quattro angeli trattengono i quattro venti, perché subentri finalmente la quiete finché «non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio. E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele» (Ap 7,2-4). «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello… Non avranno più fame né avranno più sete… e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,14, 16, 17).

L’Apocalisse di suor Ioanna Rejtlinger

Padre Sergij Bulgakov interpreta questo passo dell’Apocalisse dal punto di vista di un fatto storico concreto, le persecuzioni di Israele durante la seconda guerra mondiale:

«Questi segnati sono scelti da tutte le tribù di Israele. Tale elezione rappresenta un fatto di primaria importanza mistica e dogmatica, che cresce tanto più immensamente sullo sfondo della persecuzione anticristiana contro Israele. Quest’ultima, naturalmente, è legata in modo più o meno scoperto alla generale persecuzione contro la Chiesa cristiana. La Chiesa di Cristo è il Nuovo Israele, poggia sul fondamento degli apostoli e dei profeti, e la sua pietra angolare è Cristo, figlio di Abramo, figlio di Davide. Essa non solo non può essere avulsa dalla sua radice ebreo-cristiana, ma invisibilmente permane ad essa legata anche quando Israele è nella condizione di ripudiato, poiché si conserva il suo “santo resto” attraverso cui “tutto Israele si salverà”. Per questo le sorti della Chiesa nei suoi eletti vengono raffigurate attraverso i segnati delle dodici tribù di Israele. La sorte di Israele resta il fulcro della storia della Chiesa» (Apokalipsis Ioanna, pp. 60-63).

Suor Ioanna, come padre Sergij, fu testimone delle persecuzioni contro gli ebrei e contro la Chiesa a Parigi. Alcuni loro carissimi amici furono internati in lager e subirono la morte per aver cercato di mettere in salvo degli ebrei. Nei suoi affreschi, suor Ioanna li rappresenta attraverso i ventiquattro vegliardi con rami di palma in mano, le cui figure sono in movimento, si sostengono a vicenda, si stringono le mani, si abbracciano per le spalle; nessuno è estraneo, tutti sono solidali, e ci sembrano vicinissimi. Nelle tenebre del XX secolo risplendono al cospetto del trono di Dio le schiere dei nuovi martiri, e insieme a loro i sei milioni di ebrei sterminati, di cui un milione e mezzo di bambini.

In questo contesto mi stupisce di poter leggere anche la storia della mia famiglia. Il mio nonno, ebreo, venne fucilato insieme a tutta la famiglia nel territorio dell’Ucraina occupato dai tedeschi. Il nonno di mio marito, un sacerdote ortodosso russo, venne condannato a 10 anni di lavori forzati e morì chissà dove, nel Nord. Mi sembra che ci siano anche loro, tra i vegliardi in bianche vesti, a contemplare la Gerusalemme Celeste che così da vicino vedevano padre Sergij e suor Ioanna.

Bronislava Popova
(foto di
S. Bessmertnyj)

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