L’abbiamo conosciuto più di vent’anni fa, quando, recandoci al monastero delle Grotte di Pskov per incontrare il celebre iconografo archimandrita Zinon, un giovane novizio ci ha accolti con ogni premura nell’atelier, apparecchiando fulmineamente la tavola per offrirci il tè con miele e marmellata e mostrandoci con sacro entusiasmo le opere del suo maestro. Si chiamava Viktor – ci disse – ed era arrivato da poco da Dnepropetrovsk, in Ucraina, per vivere la vocazione monastica e imparare a dipingere sotto la guida di padre Zinon. Due cose che nella sua vita sarebbero sempre andate di pari passo, con naturalezza e semplicità. Da quel momento Viktor l’abbiamo visto per molti anni a fianco, anzi al servizio di padre Zinon, che ha seguito nelle sue peregrinazioni nel monastero sulla Miroža, a Pskov, e poi nell’«esilio» di Gverston’ (un villaggio sperduto nelle splendide campagne nei dintorni di Pskov), in seguito alla punizione ricevuta dal vescovo locale a motivo delle sue vedute troppo «ecumeniche». Successivamente, quando padre Zinon fece scelte diverse e decise di lasciare per sempre Gverston’, il monaco Pavel sarebbe rimasto a custodire questo luogo, che nel frattempo si era gradualmente trasformato – proprio come alle origini del monachesimo, sotto il lavoro industrioso dei monaci – in un’oasi di armonia e di bellezza, con una chiesina romanica in pietra e alcune isbe in legno che svolgevano le funzioni di casa, atelier, falegnameria, sauna.
Proprio nel rogo della prima, vecchia isba, che era servita da rifugio ai monaci quando avevano dovuto lasciare il monastero sulla Miroža, il monaco Pavel è perito il 2 ottobre scorso, riportando ustioni gravissime nel tentativo di spegnere l’incendio e di salvare le icone che si trovavano nell’atelier. Ha avuto la forza di correre fin dalla vicina, una vecchietta che vive in una casupola a qualche centinaio di metri, gridandole disperato: «Ljubov’ Michajlovna, è bruciato tutto, è andato tutto distrutto!». Poi l’autoambulanza, la corsa all’ospedale locale, e infine, inutilmente, al Centro grandi ustionati di Pietroburgo.
La Scuola iconografica di Seriate aveva organizzato negli anni ‘90 una serie di stages iconografici a Pskov, presso l’atelier iconografico di padre Zinon, e quindi era stato naturale approfondire l’amicizia con i suoi allievi Viktor, Vladimir e padre Amvrosij. Finché un mattino, alla liturgia celebrata da padre Zinon a cui partecipavamo quotidianamente cantando nel coro, Viktor e Vladimir pronunciarono i voti monastici diventando Pavel e Petr. Ormai li conosciamo solo così, in una frequentazione ventennale che ha visto più volte noi a Pskov e loro a Seriate. La loro storia ha segnato diversi tornanti, talvolta anche difficili, dolorosi. Una sospensione a divinis di anni per padre Zinon, e la scomunica per Petr e Pavel, colpevoli di essersi accostati alla comunione durante una liturgia cattolica; circostanze personali di fatica, talvolta di smarrimento e sofferenza, di cui alcuni amici sono stati testimoni. In ogni caso, gli avvenimenti della vita hanno fatto sì che le sorti di padre Zinon, Pavel e Petr si siano divise. Petr ha trovato la sua vocazione in una comunità monastica, Pavel invece ha sentito sempre di più che il suo era un «monachesimo nel mondo», in cui il dono della pittura andava di pari passo con l’amore e la dedizione al suo prossimo.
Le sofferenze e i colpi che la sorte non gli ha risparmiato non l’hanno rinchiuso in se stesso, in recriminazioni e accuse, ma l’hanno in certo modo spinto a cercare la propria via di consacrazione e di servizio. Nel suo ordine meticoloso, aveva un tavolino sotto la finestra dell’atelier con il Vangelo sempre aperto alle letture del giorno. Era la sua lettura di ogni mattina, che poi lo accompagnava e gli dettava i passi dell’intera giornata. La sua giornata, infatti, non era scandita semplicemente dal lavoro di iconografo e neppure dalle mille necessità per mantenere in ordine la tenuta di Gverston’, ma dal servizio al prossimo, che si concretizzava nelle mille necessità dei vicini di casa – perlopiù persone anziane – o degli amici della comunità. E così, correre in città a comperare le medicine, accompagnare qualcuno a sbrigare pratiche burocratiche, o aiutare a riparare un tetto, una tubatura… Molti lo esortavano a mettere dei limiti alla propria disponibilità, a concentrarsi sul talento pittorico che aveva, ma lui invariabilmente rispondeva – come mi hanno testimoniato in tanti, il giorno del funerale: «E se questa persona, col suo bisogno, fosse più importante delle icone?». E invariabilmente correva ad aiutare chi glielo chiedeva, senza perdere il suo buon umore, con naturalezza, con la sua ruvidezza quasi adolescenziale che celava una grande sensibilità d’animo e un acuto bisogno affettivo. È questo Pavel che ho rivisto, ancora una volta, al funerale, ascoltando i racconti di tanti: ad esempio di un vicino – padre di otto figli – con il quale Pavel spartiva regolarmente i proventi della vendita delle icone o dei corsi che teneva all’estero. Non per semplice generosità – ha aggiunto il vicino ricordando le parole di Pavel – ma perché in questo consiste la vocazione del monaco: condividere tutto con il prossimo come ha fatto Cristo.
Da anni, ormai, «fra’ Pavel» – come si faceva chiamare – veniva una o due volte all’anno a Seriate, per tenere dei master di iconografia molto seguiti e apprezzati, e sotto la sua guida si è formato un gruppo di allievi che possiedono un ottimo livello tecnico. Sebbene dipingesse con grande precisione e maestria, tuttavia, come iconografo Pavel si è sempre sentito lui stesso un «allievo»: per lui il maestro era l’icona stessa e, concretamente, colui che gliela aveva fatta incontrare, padre Zinon. Come ha detto Paola Cortesi, una dei fondatori della Scuola iconografica di Seriate: «Da quando lo vidi per la prima volta, mi colpì moltissimo in lui la devozione e la dipendenza dal suo maestro. Devozione e dipendenza che ha manifestato sempre: non ha mai proposto una sua icona o qualcosa di sé, ma sempre si è reso strumento per indicare l’opera di Zinon. Questa sua grande umiltà mi ha sempre colpito, insieme alla sua pazienza ed alla bontà che trasparivano dal suo sguardo sereno. Questo suo farsi anonimo “canale di trasmissione della tradizione” mi sembra il dono più grande che ci ha lasciato come iconografo e come amico».
«Servizio», è forse la parola che riassume la sua persona e la sua posizione nella vita e nell’arte. Come ha scritto Sara, una dei suoi allievi, descrivendo «un gesto tanto semplice quanto significativo che Pavel aveva fatto per noi allievi del suo primo master: l’ultimo giorno ci aveva riuniti tutti offrendoci un gelato che si era preoccupato di comprare per l’occasione. Quel momento di convivialità, nel quale aveva cercato di darci gli ultimi consigli, in attesa del corso successivo, racchiude secondo me la sua essenza: l’essere totalmente a servizio degli altri e non conservare gelosamente quello che negli anni aveva appreso, ma sfruttare ogni occasione per aiutare a migliorarci, come “iconografi” e come cristiani». La stessa cosa hanno testimoniato tanti dei suoi allievi di Seriate, che nei giorni dell’incidente e della morte hanno mobilitato una catena di preghiere dall’America Latina all’Europa, coinvolgendo comunità monastiche, parrocchie, amici e conoscenti in tutto il mondo intorno a una persona tanto schiva e modesta. È quanto ho potuto dire agli amici di Pskov il giorno del funerale, e ho visto la consolazione che in loro ha suscitato l’immagine di questo «coro» che supera le barriere umane, e ci unisce insieme tra di noi e con Pavel. Don Pietro Pozzi, che in questi anni era stato per Pavel un fratello nello spirito e l’aveva ospitato a lungo in parrocchia, ha scritto, facendo sua «l’espressione che ha usato una mamma quando ha perso suo figlio: “Non è vero che il Signore ha dato e il Signore ha tolto, ma il Signore ha dato e Lui ha portato a compimento”. Gli eventi di questi giorni, drammaticamente mi hanno costretto a convertire le immagini nelle quali facevo consistere il compimento della vocazione di una persona. Prego la Madre di Dio perché grazie al sacrificio che è stato chiesto a Pavel, possiamo abbracciare con fiducia il Mistero nel quale la nostra vita è chiamata a compiersi».
A Pskov, nella parrocchia di santa Anastasia martire, che Pavel frequentava e per la quale ha dipinto numerose splendide icone, il parroco padre Evgenij, che è stato l’ultimo a vederlo cosciente e a impartirgli l’estrema unzione, al termine delle esequie ha lasciato a tutti noi presenti due consegne: far memoria di Pavel leggendo il Vangelo, come lui faceva ogni mattina lasciando che quelle parole gli lavorassero dentro tutto il giorno; ricordarci che il nostro incontro con lui non è finito qui ma continua, misteriosamente. E ci ha invitati a farne esperienza.
Queste consegne hanno già trovato eco nelle carmelitane di Venezia, che mi hanno scritto poco dopo: «Anche noi sentiamo che Pavel ci lascia in eredità qualcosa di bello e di grande, come bello e grande e puro era il suo cuore. Sapevamo che lui era molto amato a Pskov, che aiutava tante persone in difficoltà. Anche noi accogliamo le consegne del parroco, padre Evgenij, soprattutto la volontà di fare esperienza come la presenza di Pavel continua – in Cristo Risorto – nella nostra vita. Per noi rimane il suo amore per la bellezza, per l’armonia, che è amore per il Volto di Cristo, come dovrebbe essere tipico per ogni vero iconografo. E rimane anche l’amicizia in Cristo con tutti i fratelli, che diventa “fraternità” vera, condivisione nella fede, nella comune esperienza di Cristo, al di là di ogni barriera. Abbiamo celebrato la santa messa per lui, il giorno della morte, perché lui era parte della nostra Comunità, come un vero fratello. Vi siamo tanto vicine, come siamo vicine in particolare alla sua comunità di Pskov».
Giovanna Parravicini
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