Figure che irradiano letizia • Le icone di Irina Zaron

Figure che irradiano letizia

Difficile inquadrare i grandi artisti nelle categorie usuali. È quanto avviene anche per Irina Zaron, una degli iconografi di maggior spicco nel panorama attuale, le cui opere sono ritenute da alcuni troppo elitarie, raffinate, poco comprensibili allo spettatore contemporaneo – e da altri, al contrario, troppo «povere», quasi minimaliste. Padre Georgij Vidjakin, dal 2015 parroco della chiesa russa di Limassol, a Cipro, le ha commissionato il ciclo delle feste liturgiche principali, che presentiamo di seguito.

La pittura contemporanea di icone è un fenomeno complesso, sfaccettato, in rapido sviluppo secondo modalità spesso caotiche, incoerenti, imprevedibili. Lo si vede soprattutto nelle mostre, ma anche entrando nelle chiese, in cui coesistono stili e maniere spesso eterogenei. Fra gli iconografi di oggi si incontra di tutto: rigidi tradizionalisti, audaci modernisti, cultori dell’arte russa antica e amanti dello stile bizantino, puri copisti e convinti sperimentatori, virtuosi del decorativismo e brutali minimalisti. E ciascuno ritiene di essere l’unico a capire veramente l’icona, è convinto che la strada da lui scelta prosegua e sviluppi realmente le antiche tradizioni dell’icona. Non c’è modo di parlare di uno stile unitario o almeno di una tendenza comune, di una comprensione unica della tradizione. Probabilmente, il nostro è il tempo di una torre di Babele che è penetrata anche nella Chiesa: ciascuno parla una propria lingua, spesso senza ascoltare l’altro né cercare di comprenderlo.

Irina Zaron.

In tutta questa dissonanza, si ode la voce sommessa ma molto pura e intellegibile di un’artista che lavora nell’arte sacra da ormai più di vent’anni e ha realizzato numerose bellissime icone e pitture murali. Sto parlando di Irina Zaron, formatasi inizialmente come pittrice, molto originale, sottile, profonda. La sua pittura è costruita su sfumature, la superficie pittorica sembra vibrare e respirare, e la raffigurazione ti costringe a fermarti, a contemplare in silenzio il mistero che si svela in ogni albero del paesaggio o figura di viandante, oppure nel soggetto sacro rappresentato secondo uno scorcio prospettico nuovo. Ormai artista fatta, insieme a suo marito, lo scultore Sergej Antonov, Irina Zaron è approdata alla Chiesa, e poco dopo entrambi hanno ricevuto l’incarico di dipingere un’iconostasi. Da quel momento i coniugi hanno spesso lavorato insieme, decorando varie chiese: a Mosca e provincia, Pietroburgo, Barnaul. Opere della Zaron si trovano in Germania, USA, Francia, Svizzera, Belgio.
Le sue icone sono facilmente riconoscibili per il modellato ottenuto attraverso sfumature, la vibrazione, il colorito smorzato ma radioso, come illuminato dall’interno. Le figure – elevate e assorte – ti immergono in un’atmosfera di silenzio, contemplazione, vien voglia di restare a guardarle ed ascoltarle, echeggiano come lunghi accordi. Così sono anche le icone delle feste dipinte da Irina Zaron per la chiesa di San Nicola a Limassol: le dodici feste dell’anno liturgico e l’icona pasquale della «Resurrezione e Discesa agli inferi di Cristo» (part. in apertura). Sono icone da esporre sul leggio in occasione delle diverse feste, sebbene per dimensioni (30×40 cm) potrebbero appartenere anche a un’iconostasi di medie dimensioni; si tratta di un ciclo unitario per colorito e composizione, dove di icona in icona si dispiega davanti al nostro sguardo la storia della salvezza. Iniziando dagli avvenimenti narrati dal «Protoevangelo di Giacomo», la Natività della Vergine e la sua Presentazione al tempio, attraverso i diversi episodi evangelici si giunge fino alla Resurrezione e quindi alla nascita della Chiesa («Discesa dello Spirito Santo sugli apostoli») e al suo trionfo («Esaltazione della croce») (v. gallery in fondo all’articolo).

Figure che irradiano letizia • Le icone di Irina Zaron

La dormizione.

L’unicità di questo ciclo pittorico consiste proprio nell’unitarietà di stile e maniera. Nell’insieme Irina Zaron è un’iconografa molto tradizionale, che si rifà a modelli classici, introducendovi tuttavia la nota di una grande essenzialità, lasciando solo gli elementi indispensabili per rendere l’iconografia in modo che sia riconoscibile, comprensibile nell’esposizione ed essenziale nel significato.
Non di rado le sue opere vengono paragonate alle icone dell’Antica Pskov. Gli artisti pskoviani usavano effettivamente le stesse tonalità smorzate, servendosi di una tavolozza basata su ocra, rosso e verde, senza usare praticamente blu e azzurri. Ma le somiglianze finiscono qui, perché Irina Zaron non ripete mai alla lettera i modelli, non copia, non imita. L’icona antica è per lei un modello, ma non in senso tecnico, bensì come punto di riferimento, stella cometa, faro, fonte di ispirazione. Non ha la preoccupazione di imitare o ricostruire il passato, crea continuamente qualcosa di nuovo, come ogni vero artista. E questo non è mai facile. So bene come ogni nuova nascita passi attraverso sofferenze, dubbi, dolore. Anche se, guardando le opere della Zaron, sembra che essa dipinga con facilità, libertà, come se cantasse. E questa musica riecheggia nello spettatore, lo commuove.
Del resto, l’arte sacra ha una forte componente musicale, perché è un inno a Dio. Quando durante la liturgia il coro canta, unendosi al coro degli angeli al cospetto del trono divino, gli fanno eco gli archi delle volte, le candele, le lampade, le figure sugli affreschi alle pareti, i santi nelle icone. Probabilmente, proprio a questo pensava Pavel Florenskij quando parlava del tempio come sintesi delle arti. Da questo furono colpiti anche i messi del principe Vladimir, quando assisterono alla liturgia in Santa Sofia a Costantinopoli senza riuscire a capire se erano in cielo o sulla terra.
Sintesi e armonia sono nelle corde di ogni vero artista. Così è per Irina Zaron e Sergej Antonov, negli interni delle chiese per le quali lavorano insieme, unendo insieme pittura e rilievo.
All’interno di ogni icona si crea un proprio spazio, una propria atmosfera: non è mai una superficie di cartone su cui sono appiccicate delle figure appiattite, come avviene per gli iconografi che ritengono che l’icona sia bidimensionale, a differenza della tridimensionalità della pittura «naturalistica». In realtà non è così: anche se indubbiamente lo spazio dell’icona è diverso rispetto allo spazio del nostro mondo fisico, e bisogna raffigurarlo secondo sue leggi particolari, non si può ignorarne la realtà. Irina Zaron, organizzando lo spazio all’interno di ogni singola icona, dà alle figure la possibilità di non essere statiche, ma di entrare in rapporto, in dialogo le une con le altre. Anche le singole icone sono in rapporto fra loro mediante rimandi ritmici e cromatici, e anche dal punto di vista del soggetto rappresentano un’opera unitaria: sono infatti parte dell’unica storia della salvezza, e anche questo costituisce uno spazio particolare.
Oggi si discute molto su come dovrebbe essere l’icona contemporanea. Si spendono molte discussioni sui concetti di «tradizione», «canone», «icona d’autore», sulle nuove tecnologie e sugli antichi modelli, su quanto l’arte profana sia di aiuto o di inciampo all’iconografo. Irina Zaron non teorizza mai, si limita a dipingere icone così come si sente ispirata da Dio. Contemplare le sue icone mette in cuore una letizia che sembra riecheggiare le parole dell’inno vespertino alla Trinità: «Luce sommessa della gloria santa…».

Irina Jazykova, almanacco «Dary», Mosca, 2019.

Gallery (clic sull’immagine per ingrandirla)

 

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