Adol’f Nikolaevič Ovčinnikov 1931-2021 • Pagine di vita

A Mosca, una mostra dedicata all’iconografo e restauratore Adol’f Ovčinnikov ripercorre il suo cammino umano e artistico.

Ovčinnikov

Ovčinnikov con l’armatura di guerriero russo medievale, fine anni ’50.

Al nome di Adol’f Ovčinnikov, che nel dicembre scorso avrebbe compiuto 90 anni, sono legate molte pagine della storia del restauro, ma soprattutto della riscoperta del linguaggio e del senso dell’icona in Russia nel XX secolo. A partire dal dicembre 1989, quando l’abbiamo incontrato a Roma, in occasione della prima grande mostra di icone russe in Vaticano, proprio nel segno di questa riscoperta è nato un rapporto di stima e di amicizia con Russia Cristiana e la Scuola iconografica di Seriate che non si è mai interrotto. L’ultimo incontro fra l’ormai anziano restauratore e iconografo e i suoi allievi «seriatesi» si è svolto nell’autunno 2018, a Mosca, nell’«Iconoteca» destinata dal Centro di Restauro Grabar’ – dove Ovčinnikov ha lavorato per 65 anni, fino a pochi mesi prima della sua scomparsa – a raccogliere ed esporre il suo imponente archivio.

In questa stessa «Iconoteca A.N. Ovčinnikov», nel centro di Mosca, è stata inaugurata il 20 dicembre scorso una mostra che ripercorre la sua biografia ed espone parte delle sue opere. L’intento – ci dice Aleksandr Gormatjuk, allievo di Ovčinnikov e curatore della mostra – è quello di rendere accessibile al pubblico, attraverso un vasto programma che prevede l’avvicendarsi di mostre e la pubblicazione dei suoi scritti, il suo importante lascito spirituale e culturale: siamo di fronte a un intero mondo, a una concezione della realtà che oggi possiede una particolare attualità, ed è proprio questo che ha consentito ad Adol’f Ovčinnikov di sviluppare una tecnica e una maniera pittorica di grande incisività e forza.

nonni ovcinnikov

I nonni di Ovčinnikov, Aleksej e Kapitolina Kasatov.

Nella formazione di Ovčinnikov – lui stesso ce ne aveva parlato tante volte – svolse un ruolo fondamentale il nonno: «Sono stato fortunato. Se c’è in me qualcosa di buono, lo devo al nonno. Mi ha insegnato tante cose, mi leggeva il Vangelo, il Salterio, poesie, brani di libri, ha in qualche modo determinato il mio gusto e il mio senso religioso, aiutandomi a distinguere ciò che è autentico da ciò che è falso».
Aleksej Fedorovič Kasatov (1855-1944), proveniente da una famiglia di vecchi credenti di Novgorod, verso la fine del secolo si era trasferito al sud, a Karačev, nel governatorato di Orel, dove si era dedicato alla coltivazione delle mele. In questa casa circondata dai frutteti, il 19 dicembre 1931 sarebbe nato il nipote, chiamato dal padre Adol’f e battezzato dal nonno come Nikolaj.

nonno Aleksej

Il nonno Aleksej davanti alla sua casa, negli anni ’20.

Non è difficile capire, quindi, come il giovane Adol’f, attirato dalla pittura fin dall’adolescenza, scoprisse nell’icona la sua strada: «Quando nel 1956 entrai al Museo storico e vidi dal vivo le icone, fu come se mi cadesse una benda dagli occhi. Era chiaro che lì c’erano sia la pittura che la vita, insomma tutto!».
Per lui l’icona sarebbe sempre stata molto di più che un oggetto di interesse professionale o culturale: era il mondo in cui viveva, si muoveva e respirava, il metro su cui misurava tutto ciò che poteva esistere di buono, di vero e di bello.

Qualche anno prima, la passione per il restauro gli era nata da un curioso episodio. Un’anziana vicina di casa, sapendo che Adol’f dipingeva, gli aveva portato da «riparare» una tela che aveva in casa, un paesaggio: «Io “rischiai”, dopo aver letto qualche manuale, e sotto lo strato bruciacchiato di vecchia vernice portai alla luce un SAVRASOV autentico. Da quel momento “restauro” divenne per me una parola magica».
Infine, un fortuito incontro con il restauratore Viktor Filatov lo condusse al Centro Grabar’: questi, infatti, era alla ricerca di manodopera perché era stato commissionato il restauro dell’iconostasi della cattedrale di Santa Sofia a Novgorod, danneggiata dai bombardamenti in tempo di guerra. Si trattava di un lavoro imponente, da realizzarsi entro il 1959 in vista dei 1100 anni della fondazione di Novgorod, ma anche del primo caso di legalizzazione di un restauro di opere d’arte sacra in un laboratorio statale.

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Il consiglio dei restauratori del Grabar’ ispeziona il lavoro di restauro di un’icona della scuola di Pskov, anni ’80.

Al Grabar’ in quegli anni il lavoro ferveva: oltre ai lavori di restauro dei monumenti danneggiati dalla guerra, era in atto un ampio lavoro di documentazione di tali opere, attraverso schemi, rilievi, riproduzioni ad acquerello e copie in dimensioni reali; l’anima ne era Nikolaj Syčev (1883-1964), che a sua volta si rifaceva alla tradizione di copia-facsimile elaborata da Lidija Durnovo (1885-1963).
Il laboratorio della Durnovo, fondato nel 1918 presso l’Istituto di storia dell’arte Zubov, ebbe il merito di elaborare una tecnica di riproduzione degli affreschi e di realizzare copie di tutti i principali complessi di pittura monumentale esistenti in Russia. Lidija fu arrestata e deportata nel 1933, e allo scadere della pena, nel 1937, si trasferì in Armenia dove ebbe la possibilità di continuare a lavorare, studiando le antiche miniature armene. Oggi stupisce l’energia creativa, la passione e il senso di responsabilità di queste persone, vissute in condizioni drammatiche, precarie, se non proibitive per un lavoro scientifico. Syčev, in particolare, professore dell’università di Leningrado e dell’Accademia di Belle arti, direttore del Museo Russo dal 1920 al 1926, fu arrestato nel 1930 e internato in lager fino al 1942.

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Nikolaj Syčev, negli anni ’40, durante i lavori di restauro a Vladimir.

Nell’immediato dopoguerra, su richiesta di Igor’ Grabar’, gli fu concesso di trasferirsi a Vladimir, dove lavorò al restauro e alla copia degli affreschi di Andrej Rublev nella cattedrale della Dormizione e insegnò nel locale Istituto d’arte. I problemi però non erano finiti: nel 1948 fu nuovamente arrestato e, anche se pochi mesi dopo venne scarcerato, non fu assolto fino al 1954, quando poté lasciare il confino e recarsi a Mosca.
Nonostante l’età avanzata e le peripezie vissute, continuò a operare e fu tra i principali consulenti nei lavori di restauro nelle chiese del Cremlino, di San Basilio, della Lavra della Trinità di san Sergio. Proprio in quest’ultimo decennio di vita Syčev divenne per Ovčinnikov la figura del maestro. Conoscendo il suo interesse per la tecnica della pittura di icone, Adol’f gli disse che spesso eseguiva dei calchi delle icone che restaurava; per tutta risposta Syčev gli mostrò un intero «libro» di calchi dicendo:

«Non sono in grado di dire nulla di una composizione, finché non ne faccio il calco».

Ovčinnikov a sua volta, insieme a Nikolaj Gusev, avrebbe sviluppato ulteriormente nei decenni successivi questa tecnica, in cui vedeva la possibilità di entrare nel laboratorio dell’antico pittore, di ripercorrerne l’esperienza artistica e spirituale, di decifrarne il linguaggio e la simbologia ad esso sottesa. «La copia-ricostruzione è la mia “macchina del tempo”, mi trasporta nel XII, XIV, XV secolo…», amava ripetere.

In mostra è presentata integralmente una delle opere più imponenti di copia-ricostruzione di Ovčinnikov: il complesso degli affreschi del XII secolo della chiesa di San Giorgio a Staraja Ladoga. A partire dal 1962, quando ebbe modo di vederli per la prima volta, ne realizzò tre copie complete, approfondendone progressivamente i contenuti. A spingerlo in questa direzione era stato lo stesso Syčev, che ben conosceva il valore di tali affreschi perché aveva fatto parte delle commissioni incaricate del loro restauro nel 1921-1923.
Ovčinnikov, dal canto suo, non cessò mai di esprimere il suo stupore, ad esempio, per la cura con cui gli antichi maestri dipingevano composizioni e figure destinate a restare pressoché invisibili ai fedeli nella chiesa, a causa della loro distanza dallo spettatore o del tipo di illuminazione. Ha lasciato scritto:

«Sarei disposto a continuare a lavorarci fino alla fine dei miei giorni. Cerco di capire come abbiano potuto realizzare tutto questo, e soprattutto che cosa volessero esprimere e fin dove volessero arrivare. Come siano riusciti a dipingere un cielo così lieve; o una terra, che coloristicamente è più chiara, ma dà una sensazione di maggior peso rispetto al cielo…».

Il suo lavoro ci offre oggi la possibilità di vedere «faccia a faccia» il Cristo situato nella cupola, gli angeli e i profeti che gli fanno corona nel tamburo, e il Giudizio universale nei matronei. Sono esposte anche alcune copie di affreschi appartenenti ad altri cicli, che si spera possano essere esposti nella loro interezza in seguito: alcuni soggetti di antiche chiese della Georgia, e della chiesa di Meletovo (Pskov).

locandina mostra Ovčinnikov

La locandina della mostra.

Inoltre, per la prima volta sono esposte opere di grafica e pittura di Ovčinnikov anni ‘50-‘70, e una serie di copie-ricostruzioni delle icone da lui restaurate e particolarmente amate, appartenenti ai centri artistici di Pskov, Suzdal’, Rjazan’, Vologda, Murom. Un posto a sé spetta alle opere pittoriche di Pskov: Ovčinnikov partecipò attivamente al loro studio e restauro, e questo lavoro sfociò nella grandiosa mostra «L’icona di Pskov» allestita al Maneggio di Mosca nel 1970, che segnò il definitivo configurarsi nella storia dell’arte del concetto di scuola iconografica pskoviana, dotata di caratteri propri e originali.
Infine, all’interno della mostra una posizione di particolare rilievo spetta all’icona della Madre di Dio Glykophilousa, un’opera bizantina del XIV secolo appartenente a una collezione privata e restaurata da Ovčinnikov negli anni ’90 in Italia, a Villa Ambiveri, di cui esiste una copia-ricostruzione nella cappella. Tornato a Mosca, il maestro volle dipingere una copia di quest’icona anche per se stesso.

In alcune vetrine sono raccolti oggetti che documentano la vastità dei suoi interessi: piccoli frammenti di pittura ad affresco raccolti a suo tempo nelle chiese in rovina, calchi di piccoli rilievi, croci-encolpi, uova pasquali decorate, e poi l’inseparabile Nikon che aveva acquistato in Italia, i pennelli, i taccuini su cui fissava paesaggi, fisionomie, citazioni, su cui annotava – visitando chiese e musei – ciò che gli serviva per arricchire le pubblicazioni sulla simbologia che erano tra gli obiettivi fondamentali che si prefiggeva di realizzare, e in buona parte ha realizzato, come contributo alle generazioni future.

Giovanna Parravicini

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